Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
258 | daniele cortis |
sentito i sarcasmi di lui, conversavano e ridevano malgrado le scampanellate del presidente; perciò Elena, livida, si mordeva le labbra. Egli pareva aspettare il silenzio, inchinando la persona sul banco cui appuntava le mani. Il presidente suonò ancora il campanello e disse:
«Parli pure, onorevole Cortis.
Nello stesso momento Cortis, incominciò:
«Io debbo pregare la Camera...» S’interruppe, cercando la parola. Si pose una mano alla fronte, poi ripigliò con voce affievolita:
«Lo stato della mia salute mi costringe a domandare, anzitutto, l’indulgenza della Camera.
Fece ancora una pausa, forse uno sforzo interno di richiamare al cimento il vigore dello spirito e del corpo. La sua voce parve rianimarsi nel dire:
«È probabile che la Camera proroghi oggi le sue sedute ed io non posso differire un atto che stimo doveroso verso i miei elettori, il mio paese e me stesso.
«Prima di uscire da questo recinto forse per sempre...» Nel dire forse per sempre la voce parve mancargli, la lingua intorpidirglisi. Pronunciò ancora poche parole inintelligibili e sarebbe stramazzato sul banco se i colleghi non fossero accorsi a sorreggerlo. Si udì un grido dalla tribuna della Presidenza, ma nessuno vi pose mente. Uscieri e deputati accorrevano al banco di Cortis, che fu portato immediatamente fuori dell’aula.
Elena, sulle prime, non aveva capito, s’era chinata avanti per coglier le parole che le sfuggivano. Poi, vedendo i vicini soccorrerlo, vedendolo abbandonarsi fra le loro braccia, balzò in piedi, gittò un