Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
alla camera | 251 |
I vicini guardavano T., stavano attenti. Qualcuno si voltava a ripeter sottovoce la notizia. Uno che non aveva udito bene, sussurrò: «Chi?» Gli fu risposto sullo stesso tono: «Cortis, quel clericale.» Elena udì, vibrò a chi l’aveva detto un’occhiata di freddo disprezzo. La contessa Tarquinia n’era tutta sconsolata, non voleva credere, domandava a T. come e quando e da chi fosse uscita questa voce. Sapeva della protesta, ma sapeva pure che molti sottoscrittori n’erano già pentiti. T. rispose poche frasi vaghe, si scusò di non potersi trattenere più oltre e tolse congedo.
«Capace, sai!» sussurrò la contessa a sua figlia. «Ha delle idee, certe volte! E non dir niente! Anche questa ci voleva. Ti giurò che appena comincia a parlare, vado via.
«Perchè?
«Perchè chi sa cosa succede, e allora sto male. Oh Signore, sei di sasso tu? Eh, vado via, vado via. Di’ la verità che tu staresti qui?
«Sicuro.
«Va bene, e poi vengano a dirmi...
Era un dialogo di bisbigli e l’ultima frase della contessa Tarquinia fu ancor meno di un bisbiglio; ma Elena udì, si accese di sdegno in volto, indovinando un’accusa che sapeva di non aver giustificato con alcun atto palese.
«Cosa?» diss’ella.
«Niente.
Infatti nessuno aveva parlato alla contessa Tarquinia di tenerezze sospette fra Cortis e sua figlia; ma una pia X. glie n’avea scritto molto tempo addietro, a fin di bene. Elena non parlò più. Il cuore