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CAPITOLO XVI.
Alla Camera.
«Lo sapevo, io» disse sottovoce ad Elena la contessa Tarquinia facendosi vento con molto dispetto, perchè l’aula era quasi vuota, «siamo venute un’ora troppo presto. Te l’avevo ben detto! Bastava venire alle due, alle due e mezzo.
Molti ventagli battevano con voce aspra e secca lo stesso punto nella tribuna destra della presidenza. Altri misuravano placidi e lenti il durar di una pazienza flemmatica, di una placida soddisfazione; o il cammino di un pensiero su qualche via molto lontana da Montecitorio. Un signore pratico insegnava ad alcune dame l’aula e le tribune, le cose e le persone, parlando forte, cercando sul viso dei vicini l’ammirazione e il rispetto dovuto alla sua esperienza. Ma le signore si guardavano più volentieri fra loro, obliquamente. Solo quando un deputato entrava nell’aula e il signore pratico ne diceva il nome, dei ventagli tacevano, dei cappellini si porgevano avanti verso il gran vuoto. La contessa Tarquinia, elegantissima, in marron e celeste molto chiaro, con due braccialetti d’oro liscio, larghi quattro dita, era tra le più guardate. Pareva la sorella maggiore d’Elena. Questa, vestita di nero, senz’altri gioielli che una croce di turchesi al collo, soffriva delle impazienze di sua