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rava in tutti gli atti diversi della vita e della parola, e poi nella quiete marmorea della morte; riapriva quindi gli occhi, si alzava piano piano dal guanciale, si erigeva con tutta la persona in faccia a un’altra figura, alla figura dell’uomo partito poc’anzi, il quale lo guardava alla sua volta fumando e ghignando.

«Se crede di sottoscrivere...» disse l’avvocato. «Prima Lei e dopo io.

Cortis, acceso in volto, alzò le pugna strette, ringhiò fra i denti.

«Non scrivo niente.

L’avvocato trasalì, battè il dorso alla spalliera della seggiola, allargando le braccia, inarcando le ciglia.

«Niente!» tonò Cortis a voce spiegata. Colui stette un pezzo a guardarlo, si strinse nelle spalle, si alzò e raccolse le proprie carte.

Allora balenò a Cortis una terribile idea, tutta la stanza gli si empì di queste parole: «S’è ammazzato di Santa Giulia». Ed era lui che l’aveva ucciso con il suo rifiuto, che aveva fatto libera Elena. Il rimorso gli stringeva il cuore; e vi mesceva una sorda angoscia, uno spavento di non aver più la sua calma usata, la sua ferrea risolutezza.

«E adesso» diss’egli, «scaduto il termine, lei cosa farà?

«Lo sa bene. Denunzia immediata al procuratore del re per appropriazione indebita.

In quel momento si picchiò all’uscio. Cortis si scosse, alzò il capo, ma non rispose. Si picchiò più forte. La voce flebile della signora Cortis disse:

«Daniele! Daniele! Una parola sola! Ti supplico!