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il segreto della signora cortis | 243 |
irritata e trovava nella irritazione, senza saperlo, l’accento della sincerità.
«Il biglietto l’ho qui» diss’ella traendosi una carta dal seno. «Sapevo già che non mi avresti creduta. Crederai a questo. L’ho conservato sempre con la fede che verrebbe il momento della vendetta. È venuto. Capisco che forse faccio del male anche a me, ma non importa.
Cortis si strinse le pugna alle tempie, aspirò l’aria con violenza, a bocca aperta.
Sua madre gli porse il biglietto in silenzio. Egli guardava la mano stesa e quel pezzo di carta che tremavano, tremavano; non osava pigliarlo.
Una scampanellata all’uscio della scala.
«Vi prego di uscire» disse Cortis trasalendo. «È qui l’avvocato.
«L’avvocato? Mandatelo via subito.
«Vi prego» replicò l’altra imperiosamente.
Ella tornò attrice, brandì il biglietto ritirando il capo fra le spalle e guardando fiso suo figlio; poi glielo posò con un gran gesto sulla scrivania e uscì a lenti passi, non senza essersi fermata sulla soglia a levare e scotere in alto le mani congiunte.
Cortis prese il biglietto. Era una carta di visita del barone Carmine Di Santa Giulia, ufficiale di Genova cavalleria, e vi si leggevano queste parole di suo pugno a matita:
«Te lo meriti. Nei panni del dottore avrei fatto lo stesso. Guai se le signore belle e buone adottassero questo sistema! Tuo marito è poi anche militare e mio superiore di grado. Io ho già voltato pagina, voltala anche tu. E buona fortuna. Dopo tutto non sono neppur sicuro della paternità che vuoi affibbiare a me.»