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242 | daniele cortis |
«Sai» diss’ella sottovoce, senza un gesto «che egli era amico di tuo padre?
«Chi?
«Di Santa Giulia.
«So che ce l’avevano raccomandato quando era tenente di cavalleria e che veniva poco in casa nostra.
«Sì, ma ci vedevamo spesso fuori. E sai il paese? gli anni? Ad Alessandria, fra il 53 e il 55.
Cortis piegò il viso, si recò la mano alla fronte, come se pensasse a raccogliere i propri pensieri. La tolse subito, ne appuntò l’indice a sua madre, inarcando le ciglia.
«Sì» diss’ella «il tempo della mia sventura.
Tacque; i loro occhi s’incontrarono, si parlarono. Un subito tremito invase Cortis, una subita angoscia gli corse al viso. Si protese, sbarrati gli occhi, a sua madre.
«Lui?» chiese con voce soffocata.
Ella ansava, ansava, lo guardava sempre e non rispondeva.
A un tratto il viso di Cortis diventò freddo.
«È il secondo che accusate» diss’egli, buttando in aria un braccio e la mano spiegata.
«L’altro era morto» rispose sua madre. «Speravo di salvarmi. E poi ho le prove.
«Che prove?
«Ho un biglietto che mi scrisse quando, cacciata di casa, andai a cercarlo a Valenza, dov’era in distaccamento.
Ella parlava ora impetuosa, con tutt’altro accento dal solito, sentendosi a fronte uno scetticismo che sapeva di meritare spesso ma non questa volta. N’era