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240 | daniele cortis |
L’avvocato lo guardò senza comprendere.
«Io che pagherò» soggiunse Cortis. «Lei non comprende. Io sono amico del conte Carrè. Se fosse qui, se lo si potesse informare di tutto, pagherebbe. Ora ci sono ragioni particolari di sbrigare la cosa. Dunque, se lei non ha obbiezioni, la sua cliente mi cede il credito verso Di Santa Giulia, e io mi obbligo a pagarle la intera somma entro quindici giorni.
«Si figuri!» esclamo l’avvocato.
«E lei farà sapere subito al senatore ch’egli è prosciolto da qualunque obbligo verso la Banca. Nient’altro.
«S’immagini! Ella fa un atto nobilissimo.
«Niente affatto» rispose Cortis. «Sono un negotiorum gestor. Gliel’ho detto. Prende un punch?
No, l’avvocato non prendeva punch a quell’ora. Cortis suonò, ordinò un punch forte e il caffè.
«Bisognerà scrivere qualche cosa» diss’egli.
L’avvocato rispose che non c’era fretta. Avrebbe preparato con comodo l’atto di cessione e Cortis lo avrebbe sottoscritto l’indomani. Ma Cortis volle che si facesse almeno un preliminare, lì, seduta stante. Allora il Boglietti, dovendo recarsi per certe carte al suo studio di via Sant’Ignazio, uscì, promettendo tornare dentro pochi minuti.
L’uscio in faccia alla scrivania di Cortis si aperse pian piano, sua madre porse il viso a guardare se l’avvocato ci fosse ancora, poi entrò precipitosamente.
«Daniele, no!» gemette con voce soffocata, giungendo le mani. «Daniele, no!
«Cosa c’è?» diss’egli.
La signora Cortis si buttò ginocchioni, appoggiò