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CAPITOLO II.


Una cosa grave.


«Avanti» disse il conte Lao «e chiudi presto che viene un’aria d’inferno da quella porta. È ora che ti si veda! Ed è o non è un gridare che fanno quei diavoli di preti? Corpo, e non poter andar giù con un bastone! Non sa far altro tua madre che invitar preti! Saranno tutti ubbriachi, già. Che vino ha dato quell’oca?

Elena, seria seria, fece una profonda riverenza.

«Vado a vedere, conte» diss’ella.

«Ah! Scempia!» rispose il conte Lao, rabbonito. «vien qua, andiamo. Scusa, la mi vien su, saranno dieci minuti, fresca come una rosa, a domandarmi se voglio niente. Bisogna avere una testa da passera. Se voglio niente! Con questo baccano che passa i muri! Voglio che li mandiate tutti al diavolo, dico. Ma, dice, credevo che non udiste. Bella, sai? Non bastano quei pochi malanni che ho; anche sordo ho da essere. Andiamo, avanti! Cosa fai là sulla porta? Perchè mi guardi in quel modo? Sarò pallido, ah? Sarò verde o almeno giallo? Avrò l’aria d’un morto?

«Ma no, ma no, zio; hai l’aria di un orso in collera.

«D’un orso bianco?

«D’un orso grigio, zio.