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238 | daniele cortis |
suo cognato, i quali mi hanno dato senza difficoltà qualcheduno che vale veramente molto più di loro e anche più di me, se volete, e poi han difeso pochi quattrini con le unghie e con i denti, me li hanno negati nel momento opportuno, si sono fatti giuoco di me, hanno persuaso quella persona a mentire la prima volta, credo, in vita sua, e adesso che hanno paura per il loro nome, per la loro reputazione di gente onesta e generosa, adesso vengono ad offrirmeli.
«Ma che offrire!» disse Cortis.
«E adesso» continuò l’altro senza badargli, «adesso io dico: no!
Cortis fece un atto di stanchezza e di tedio, poi rispose quasi sottovoce:
«È inutile. Nessuno di casa Carrè vi offre niente.
Il barone si strinse nelle spalle.
«Eh, santo Dio!» diss’egli. «Chi volete...!
«Non andate a cercare. Qualcuno che io non nominerò mai, qualcuno che non vi è nè parente, nè amico.
Cortis parlava a mezza voce, stanco, chiudendo gli occhi ad ogni tratto e sfiorandosi con una mano la fronte.
«E perchè?» disse il barone. «Questa persona, perchè vuol pagare i miei debiti?
«Il perchè non è affar vostro. Ma c’è una condizione. La Presidenza del Senato vi ha già fatto invitare un’altra volta a rassegnare le vostre dimissioni, in un dato caso, da senatore del Regno. La condizione è questa.
Il barone tacque un momento.
«Ah» diss’egli con un sorriso sarcastico, «pretendereste avere un incarico del Governo?