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«No» diss’egli, «adesso niente per causa tua. Adesso mia madre è a Roma con me perchè io l’ho voluto liberamente. Tu non c’entri. Vi era forse dell’egoismo nella mia ripugnanza a vivere con lei. Prima mi dicevo: qualunque sacrificio, ma questo no. Ed era male. Gli altri non sono sacrifici, poichè si fanno volentieri. Del resto, io non le ho mica detto che la terrò meco per sempre. Le ho detto di venire per ora. È un esperimento da tentare prima di lasciarla sola, affatto libera di sè. Insomma, mi hai fatto del bene.

Elena gli afferrò una mano per baciargliela.

«Oh!» fece Cortis ritraendosi. Poi, con un subito slancio, prese ambe le mani di lei, l’alzò, quasi di peso.

«Sono io» mormorò «che posso...

Si chinò rapidamente, la baciò in fronte. Ella tremava, tremava, non aveva più volontà nè forza, quasi non intendeva nè vedeva più. Lo stesso Cortis non potè, per alcuni istanti, soggiunger parola.

«Basta» diss’egli. «Di questo n’eravamo degni tutt’e due.

Sedettero l’uno presso all’altra in silenzio.

Elena parlò per la prima.

«Vai in chiesa, tu?» diss’ella. «Preghi?

Cortis sorrise, le chiese il perchè di questa domanda.

«Perchè io vorrei pregare come una volta, e non posso. Non ho fede, non ho fede, non ho fede!

Ella pronunziò in fretta con voce accorata queste ultime parole, celandosi il viso fra le mani e crollando il capo.

«È una sventura» diss’egli. «Io vado poco in chiesa; mi occupo più del mio paese che dell’anima