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marito; questi era informato del giorno e dell’ora in cui ella doveva arrivare a Roma; lo si era andato a cercare al Senato e a casa; gli si era scritto nei termini più convenienti; che poteva egli richiedere di più?

La contessa domandò a Clenezzi se avesse in pronto un bel programma per la giornata. Lei non esigeva che la messa a San Pietro e il corso a villa Borghese. Il senatore propose una visita al museo Tiberino, aperto da poco tempo. La contessa Tarquinia arricciò il naso. Oh Dio, musei! Ne aveva veduti tanti! Cosa c’era di bello in questo museo Tiberino? Clenezzi confessò umilmente che non v’era andato mai. La contessa vi si rassegnò e stavano per uscire quando Clenezzi rammentò che Cortis gli aveva detto di voler fare il possibile per venire alla Minerva tra le dieci e mezzo e le undici. La contessa Tarquinia, atterrita dall’idea di vedersi forse comparir davanti sua cognata, s’infuriò a dire che, nell’incertezza, non era il caso d’aspettarlo e che si poteva lasciare al portiere un biglietto per lui. Lo scrisse subito ella stessa, avvertendo Cortis che avrebbe potuto trovar lei e sua figlia, intorno alle undici, al museo Tiberino.

A San Pietro, mentre la contessa entrava nella cappella del coro, Elena trattenne Clenezzi con un cenno, gli chiese impetuosamente:

«Cosa c’è di mio marito? Cosa va a fare da Cortis?

«Ma niente» rispose il senatore. «Quello che le ho detto.

La contessa tornò indietro per dir qualche cosa a sua figlia; il dialogo fu troncato.