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marito non era più al palazzo Madama e che oramai per quel giorno sarebbe inutile andarne in traccia. Quanto all’affare Boglietti, se ne occuperebbe lui, Cortis; aggiusterebbe tutto lui.

«Caro il mio signor Cortis!» esclamò il senatore a mani giunte. «Se Le sono mai obbligato! E adesso» soggiunse «bisognerà salire da queste signore.

«Ma poi» disse Cortis, sorridendo, «oggi, venerdì, non è giorno di Trastevere? Non è giorno di... di... di...?

«Ah! ah!» rispose il senatore, sfogandosi amaramente prima nel suo dialetto e traducendosi poi:

«I è andàc in malùra à quèi, sono andati alla malora anche quelli!

Cortis, rimasto solo, riafferrò l’immagine di Elena, la dolce parola «perdonami» e insieme l’atto, la voce, lo sguardo con cui era venuta. Altre immagini lo assalivano, non lo lasciavano fermarsi in un pensiero; il colloquio desiderato da lei, la lettera del marito, le parole «presto la lascierebbe più libera di così.» Paurose parole! Si vide nel cuore qualche cosa che gli avrebbe fatto ribrezzo se non avesse saputo che ogni miglior cuore umano è come una casa aperta, monda e ornata; furfanti che non vi saranno ospiti mai, possono, senza colpa del padrone, affacciarvisi, mettervi piede un momento. Si accorse, così pensando, di essersi inconsapevolmente avviato a piazza Venezia. Punto quasi da un rimorso, tornò indietro, si recò al palazzo Madama, e, saputovi che il senatore Di Santa Giulia abitava in via delle Muratte, vi andò difilato.

Rassicurarlo, dirgli che al pagamento del 31 marzo sarebbe provveduto, fargli credere che il benefizio