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a passi difficili 203


arrivo, proprio appena, si può dire, il tempo materiale per lui di saperlo, capita questa lettera da Roma.

«Per te, zia?

«Per Elena.

La contessa incominciò a declamare con il cipiglio e la cantilena di chi studiatamente ripete boriose parole di persona spiacevole:

«Il barone sapeva benissimo che la sua cara suocera era a Cefalù e comprendeva perfettamente che non avesse osato prendere stanza in casa sua. Questa era la più sincera confessione dell’indegno procedere di casa Carrè (così, proprio così!). Di tale procedere si vedrebbero presto conseguenze ben più gravi; ma Elena doveva star sicura ch’egli non si abbasserebbe mai davanti ai Carrè, per paura di niente. Avrebbe presto la compiacenza di mostrare a lei, a loro, a tutti quanti, quale fosse in lui il sentimento del dovere e dell’onore; darebbe uno schiaffo in viso, ma non diceva come, ai suoi cari parenti, e peggio d’uno schiaffo se c’era in essi un briciolo di coscienza. Non voleva che Elena si pretendesse relegata a Cefalù. Egli era generoso e la lasciava perfettamente libera di andare e stare a piacer suo. Oramai non gli importava di più nulla al mondo. Presto la lascerebbe anche più libera di così!

«Capisci?» concluse la contessa. «Per me dico che son tutte chiacchiere, ma quella là si è agitata moltissimo. Allora ho creduto di rispondergli io su questo punto della mia confessione e del suo abbassarsi davanti ai Carrè; e mi pare anche d’aver risposto benino, pesando le parole con un giudizio, non faccio per dire, da santa. Gli ho poi detto che,