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a passi difficili | 201 |
gli dichiarò che la politica lo aveva guasto nel corpo e nell’anima, perchè era lì magro, succhiato dalle streghe, un orrore; perchè non gli era rimasta neppur tanta amabilità da venir lui alla stazione invece di mandarvi quel povero vecchio storpio di Clenezzi. Ma già la politica era un male peggiore della gotta!
«E poi» soggiunse «Vostra Signoria si fa aspettare, per sua bontà, un secolo anche all’albergo. Sì, sì, un secolo, un secolo, non serve che la dica di no.
«Elena?» chiese Cortis.
L’altra, piccata di quell’indifferenza, non gli rispose, continuò il suo sfogo:
«Non dico niente poi delle camere. Si capisce, figlio caro, che non hai donne in casa.
«Ne avrò, zia» disse Cortis tranquillamente.
La contessa Tarquinia s’imbarazzò, si fece di scarlatto, tacque.
«Dunque?» ripigliò il primo. «Elena?
«Andiamo» rispose la contessa rabbonita, «qua la mano e facciamo la pace. Elena benissimo, sono contentissima!
Pronunciando a voce molto alta queste ultime parole, ella accennò all’uscio della camera vicina, poi si coperse un momento il viso con le mani, le agitò in aria, alzò gli occhi al soffitto.
«Non capisco niente» sussurrò poi facendosi intendere più con il gesto che con la voce, «non capisco niente!
«Oh!» fece Cortis, staccandosi da lei.
Elena stava sulla soglia della sua camera, pallida, sorridente, scomposti i capelli, gli occhi più grandi, la vita più fine che mai. Pareva una giovinetta.