Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
a passi difficili | 199 |
«Domani, sabato, 25» disse l’altro pensando a capo chino e lisciandosi la barba. «Alle nove non posso. Non posso prima di mezzogiorno.
«Allora, a mezzogiorno. In casa mia. Sta bene?
«Sì, signore.
Boglietti se ne andò e Cortis guardò da capo l’orologio.
Erano le tre. Elena e la contessa Tarquinia dovevano essere arrivate alla Minerva da un’ora. Cortis aveva pregato il senatore Clenezzi di recarsi alla stazione in vece sua. Egli entrò nell’aula a votare e dieci minuti dopo uscì da Montecitorio, s’avviò passo passo verso il Pantheon.
Qualcuno che lo incontrò allora, affermò poi di non averlo mai veduto così pallido. Sentiva Elena vicina e sentiva insieme il confuso impero di altri pensieri, di necessità non ancora ben conosciute ma che lo venivano premendo ogni giorno più. Il discorso, anzitutto, il discorso che aveva deliberato pronunciare l’indomani prima di rassegnare le proprie dimissioni; un discorso inteso a oltrepassar la Camera e a toccar gli elettori futuri, sì che voleva raccolto tutto il nerbo del suo spirito. Poi questo nuovo rabbuiarsi dell’affare Di Santa Giulia, la urgenza di provvedere, il fosco poscritto della contessa Tarquinia. Aveva dato il convegno all’avvocato per l’indomani senza avere un chiaro concetto di quello che farebbe, con il solo istinto che convenisse toglier subito il barone da questo incubo, anche obbligandosi direttamente in vece sua. I Carrè avrebbero approvato in seguito. Come conciliare la cosa con le convenienze e con la suscettibilità del barone non lo sapeva ancora, ma ci penserebbe nella notte. Per ultimo, lo turbava anche la venuta