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non si avvedono di rendermi un gran servigio. In tutt’altro momento mi sarei riso della loro prosa; ora è una fortuna per me di poter uscire da questa Camera che affonda, posando la mia candidatura per le elezioni generali a suffragio allargato. Non so se mi dimetterò ora o se aspetterò la discussione delle spese militari che mi tenta. Probabilmente mi atterrò al primo partito e bisognerà decidersi presto, perchè pare che la Camera si proroghi fra dieci o dodici giorni. Farò un’uscita rumorosa, rompendo tutti i vetri possibili.

Riprendo a casa questa lettera incominciata alla Camera dove oggi credevo parlare sul riscatto delle ferrovie venete, che poi passò in silenzio, perchè tutta questa gente pensa ad altri attuali o futuri affari consimili delle proprie rispettive provincie, figli tutti di un solo riscatto.

Uscii a pigliar aria con il mio discorso e molte altre gravi cose sullo stomaco. Mi sentivo male. Trovai una signora che voleva condurmi a Villa Borghese nella sua carrozza; ma io avevo bisogno di preparare, almeno mentalmente, un articolo di rivista che devo consegnare fra tre giorni e di cui non ho ancora scritto una riga. Lasciai dunque la signora e mi feci portare alla villa Wolkonsky, dove c’è delle rose, delle rovine, dei corvi e del silenzio quanto se ne può desiderare in certi momenti psicologici che conosco. Sedetti all’ombra di un’arcata dell’Acqua Claudia, in faccia a Santa Croce in Gerusalemme e al deserto romano, e incominciai a meditare il mio articolo: Un’idea del principe di Bismarck. Usciva, lì accanto a me, dai mattoni del pilastro antico, una piccola mano di marmo con il suo avambraccio tornito.