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sona invisibile. Credi tu, cara Elena, che Pergolese e lei sieno ora insieme? Ti confesso che tornando a casa mi son posto anche questo problema, poichè lo scrutinio di lista è votato e non ci si pensa più.

La Camera s’è prorogata al due marzo. Io parto domattina; passerò il lunedì e forse anche il martedì grasso in casa Carrè. Poi vado a Villascura. Ci ho dei fastidi anche là. Circolano proteste, si raccolgono firme contro i miei discorsi e i miei voti.

Mi fischieranno; che importa? Nessuna mano mi gitterà fiori; sia! Se avessi uno stemma, vorrei questo motto: «contro i più». Addio, cara Elena. Credi tu che Pergolese e lei sieno ora insieme?

Daniele.


Al Senatore

G. B. Clenezzi, a Roma.

Cefalù, 4 marzo 1882.

Caro Clenezzi,

So ch’ella mi è sempre stato un buono e fedele amico; so che si ricorda ancora di me dopo tanti secoli; anzi la ringrazio di avermi fatto mandare, quindici giorni or sono, dei versi che hanno toccato il cuore a me come a lei, anche senza la musica del Pergolese e la voce di donna Laura. Ma per me, caro Clenezzi, la poesia è morta o almeno è partita piangendo, come dicono quelle strofette che io ricambio in ingrata prosa. Oramai preferisco la prosa, quantunque triste, quantunque dura. Sono come qualcuno che, avendo perduto una persona cara, si mette tutto negli affari più aridi, più molesti e fugge la musica.