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tra cefalù e roma 183


niele mi ha scritto due buone lettere, tanto interessanti; io lo ringrazierò e gli parlerò anche di questo. Povera donna, mi prega con un calore tale! Ci sono anche delle cose misteriose nella sua lettera, delle allusioni che non s’intendono. Pare che qualcuno della mia famiglia le abbia fatto un gran male.

Chi sarà? Ma non è questo che mi tocca: non puoi credere quanto sono diventata indifferente a certe cose, con la mia sensibilità di disordine. È proprio lei che mi fa pena; ti trovo troppo severo, ti temo ingiusto! Hai trovato una donna corrotta; ma non è anche una donna infelice? E quanta parte avranno avuta nelle sue colpe la natura, gli uomini, le cose? Permettile di venire a Roma, di parlarti qualche volta, di vederti, almeno; almeno di vivere nello stesso paese, di saper che se muore puoi esser lì al suo letto in un attimo ad udire le sue ultime parole. Chi sa cosa può uscire da un cuore quando si rompe? Dev’essere un momento ben felice quello di sentir la fine e di poter dire tutto. Sono sicura che di momenti felici tua madre non ne ha avuti molti; concedile questo. Ti dico io di prenderla con te? No, mai. La donna che io desidero con tutta l’anima di vedere in casa tua, deve essere interamente nobile e pura; ma pietà anche per l’altra! Daniele, io lo so, Dio castiga le virtù altere che si ribellano al contatto di un povero essere debole, tentato e caduto. Sei tanto forte: sii pietoso.

La testa mi si smarrisce e il dottor Niscemi mi sgriderebbe se sapesse che ho scritto tanto. Domani vuol condurmi a Cerda e quindi a Termini per una visita di gratitudine a certe acque ch’egli si figura di avermi fatto prendere. Pover’uomo, se sapesse quanto