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mossa di sentirsi così bene e che si godeva tanto di piangere. Effetto di debolezza. La debolezza è ancora grande e la dieta non può essere finora che lattea e vegetale; ma, se arriviamo a far tollerare il ferro e le carni, spero in un pronto ristabilimento.

Con profondo ossequio

suo umil.mo e dev.mo
dott. A. Niscemi.



Alla baronessa

Elena di Santa Giulia, a Cefalù.

Roma, 4 febbraio 1882.

Cara Elena,

Nè mi rispondi, nè mi fai rispondere quando una parolina basterebbe. La mia coscienza dice che avrei fatto bene ad accontentar tua madre senz’altro.

Questa reumatica non è partita? E il dottor Niscemi è egli à bout della sua letteratura? Le equazioni a due incognite non sono mai state il mio forte.

L’altro giorno ti ho scritto dalla Camera; oggi scrivo nel mio quartierino di via Principe Amedeo, con le finestre aperte a un tepido sole petrarchesco, a una primavera platonica, a tutte le trombe, a tutti i fischi di quanti tram e locomotive Lucifero ha messo al mondo. Se ci fossero stati cent’anni fa, Alfieri non avrebbe potuto, suppongo, scrivere la Merope, come la scrisse, secondo una lapide, a pochi passi da casa mia; e io non avrei fatto ridere, vociando come un forsennato nel teatrino del mio collegio:

Ahi, quanta è impresa il mantenerti, o trono!