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gli affari del barone 163


tratto tratto, lungo i giardini, un odore acuto di magnolie. Vicino a porta Pia incontrò un cavaliere e un’amazzone, giovani, belli sui loro cavalli focosi. A lei le voci della sera parlavano di tristezza, ma quanto dolcemente non dovevano parlare agli altri d’amore!

Alle dieci della sera le giunse un telegramma dallo zio Lao che incominciava promettendo il danaro fra tre giorni per mezzo della Banca Nazionale, e seguiva: «Nelle elezioni d’oggi Cortis ebbe voti 342, X 339. Eletto Cortis.»

Elena si sentì un lampo di piacere nel cuore, una vampa nel viso e nel cervello. Si portò la palme alla fronte, bruciava; alle tempia, battevano.

Eletto Cortis! Egli aveva vinto, aveva superato il primo gran passo, doveva esser felice. Sarebbe venuto a Roma, vi avrebbe dimorato lunghi mesi, mentre vi poteva essere anche lei. No, no, gran Dio, via questo pensiero! Lei andava a Cefalù per restarvi sempre, per non rivederlo nemmanco, non esserne riveduta, sopratutto, e tradirsi. Oh Signore, e non mandargli neppur una parola! Cosa penserebbe mai di un silenzio simile? Certo che ne indovinerebbe la causa vera; non sarebbe peggio? Ci voleva una riga, una parola; e allora bisognava rispondere alle sue molto freddamente, molto duramente, per allontanarlo! Si pose a scrivere questa risposta dura e fredda colla febbre nel corpo e nell’anima.