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gli affari del barone 151

pensiero la prima notte udendolo camminare nel salotto. Non che ne fosse turbata; vi era indifferente.

Neppure di Cefalù si turbava; attendeva con apatia il mare e la solitudine. Forse potevano diventarle amici; ma si curava poco anche di questo.

Era dai primi giorni del suo matrimonio ch’ella non provava uno scoramento così profondo. Il suo virtuoso sacrificio, il suo proposito, fermato e in parte eseguito, di togliersi, per quanto era in lei, dal cuore e dal cammino di Cortis, non le recava neppure quella sicura coscienza dell’opera buona che esalta lo spirito. Sentiva invece acutamente il male che doveva aver fatto a Cortis con il suo freddo biglietto; si odiava, certi momenti, per essere stata troppo più dura che non convenisse, per non avergli neppur fatto cenno della lettera ricevutane da Lugano. E subito dopo si rimproverava queste ribellioni del cuore, queste debolezze della volontà.

Appena arrivata a Roma scrisse un biglietto sufficientemente affettuoso alla mamma. Alla lettera dello zio Lao rispose il giorno dopo, ringraziando e non accettando il danaro offerto. Scherzò sulla predica che il burbero signor zio le aveva fatta a suon di polka per questo benedetto danaro, scherzò sulla prodigalità del predicatore. Parlò poi del caldo di Roma dove non c’era più nessuno, disse che sospirava il mare e che avrebbe preferita la Sicilia ai soliti bagni noiosi del continente. Chiuse la lettera annunciando che stava per andare ai Cappuccini a prendere un po’ di fresco e a pregare per gli zii reumatizzati.

Si stupiva amaramente, scrivendo, si sentiva umiliata di saper recitare così bene la commedia. Tutto