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voci nel buio | 141 |
faccio il mio caro conto di viver ancor qualche annetto, dico. Eh sì, la dice, ma sono io, Bettina, che non torno più da queste bande. Vado lontano, la dice. Eh la tornerà, dico; perchè non la vuol tornare? Non so niente, la dice. Vuole adesso, signor Daniele, che la contessina abbia fatta questa parola senza una gran ragione? Dio sa cosa aveva in testa, poveretta. Si figuri che un momento dopo prende un libro, sta lì a guardarlo un quarto d’ora tremando tutta così così come una foglia, lo mette in fondo a una valigia e poi, quando la valigia è ben piena, fu fu fu, me la disfa, piglia fuori il libro e intanto che io rifaccio la valigia, scrive un biglietto e lo mette in questo libro. Poi va fuori e ritorna subito in gran furia, straccia il biglietto e ne scrive un altro!
Daniele non le rispose niente, entrò dal conte Lao. Un buio, un caldo, una raffata di canfora lo fermarono sulla porta.
«Scusa, caro te, Daniele,» disse la voce del conte. «Accendi un fiammifero. La candela è in terra, dietro al letto.
«Come va?» chiese Cortis piano.
«Male, non importa. E così?
In quel punto il fiammifero di Cortis brillò.
«Oh ti vedo» mormorò Lao. Ho capito. Te l’ho detto prima, già. Non poteva cambiare che in peggio quella donna lì.
«Ti racconterò poi» disse Cortis.
«Basta. E l’elezione?
«Male anche quella.
Cortis accese la candela, vide finalmente il suo interlocutore, che supino sul letto, pallido, con il capo fasciato, con gli occhi socchiusi, diceva sottovoce: