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136 | daniele cortis |
Lao per non metter fuori quattrini e di Elena per evitar scene e scandali in famiglia. Non averlo inteso subito! Però, dove mai aveva trovato tanto zelo, Elena? Lei sempre così sdegnosa delle questioni di danaro, lei che non aveva mai mosso un dito prima d’ora per evitare queste scene? Ci aveva ad essere una ragione occulta di tale condotta. Ma quale? V’era da perder la testa. E che farebbe adesso quell’altro bestione di suo genero? Capace di tutto, colui. Ah, non aver capito! Tutto quello stordimento di cose e di persone non gliene aveva lasciato il tempo. Ed esser sola, oramai, perchè anche Grigiolo e Malcanton erano partiti, esser sola con il rospo di suo cognato, non avere un aiuto, un consiglio! Quel benedetto Cortis dove s’era mai ficcato? Ci fosse stato lui, almeno! Come si sentiva male! Anche la casa e il giardino le davan noia con il loro disordine, fastidiosa feccia del tripudio scolato. La lista di reseda e di vaniglie intorno alla casa era tutta pesta; gli abeti e il giardino eran tempestati di carte abbruciacchiate; persino il biliardo aveva imbrattato di colla, quel Grigiolo, con i suoi palloncini! E che puzzo di sigaro nelle stanze!
Alle undici capitò il vetturino, giusta gli ordini avuti il giorno prima. La contessa se n’era dimenticata. Aveva ben altro che visite, ora, per il capo! Era per congedarlo quando, «servitor suo, servitor suo», le sbucò davanti, sul prato, fra macchia e macchia, il piccolo nero don Bortolo in gran tricorno e canna d’India. Veniva a riporre i paramenti della chiesetta di San Pietro e a bere un bicchier di bianco. La contessa gli domandò subito se sapesse niente di Cortis. Altro se sapeva, don Bortolo! Il dottor Picuti