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sul campo 131


«No, no, no, no!» gridò Cortis. «Cosa diavolo?

«E, non signore» osservò quello delle ostriche mentre B. ripeteva: siamo intesi, siamo intesi! «Qua il signor Cortis vuole anzi abbassarlo, il trono, tirarlo giù dal cielo; lo ha detto chiaro, mi pare; tirarlo giù dalle nuvole, ha detto, che il re sia responsabile anche lui come i ministri; cosa giusta!

«Santo Dio!» disse Cortis. «Ho parlato così male?

Tutti gli altri furono addosso a quel disgraziato commentatore. Lo volevano mangiare.

«Oh bene, signori» osservò finalmente B. «Noi bisogna che torniamo dentro. Non sentite?

In sala facevano un gran baccano, malgrado la vocina collerica del campanello presidenziale. B. promise a Cortis che gli avrebbe mandato a Villascura, la sera stessa, le notizie della deliberazione che l’assemblea prenderebbe.

«Cosa credete che faranno?» disse Cortis. «Io sentivo un freddo da togliere il respiro.

«Sì» rispose B., «freddi, freddi; ma meno peggio di quel che temevo. Molti, poi, bisogna dirlo, erano intontiti, non si raccapezzavano. Sei stato alto; piuttosto alto. Sai di cosa ho paura? Ho paura per quella chiusa del legislatore fuori del Parlamento. Qualcuno potrà dire che hai gli elettori... non so se mi spiego.

«Alto, no» disse un altro, «neanche per idea, alto. Mi spiego; alto, sì, ma abbiamo capito benone. Piuttosto, forse... ci sarebbe voluta una parola sulla politica estera... sull’esercito... sulla marina...

«Ma se non c’entrava, benedetto!» disse B. alzando gli occhi al cielo. «Andiamo, andiamo dentro. Presto!