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accigliati dei suoi colleghi; e trascorso un momento senza che nessuno parlasse, Cortis si levò in piedi, cominciò a parlar lentamente, con voce misurata, in questo modo:

«Signori!

«Io vi ringrazio e vi felicito di avermi accordata la parola.

«Che i miei nemici, per assalirmi, abbiano dovuto compiere un atto disonesto, nè me ne dolgo, nè me ne vanto; è una cosa naturale, e io lascierò volentieri nell’ombra, che ad essi giova, i loro atti e le loro persone. Sta ch’è venuta in luce una mia lettera...

Un mormorìo sordo si levò nella sala.

«Sì, onorevoli signori» riprese Cortis con forza, mentre i suoi amici lo guardavano pallidi e palpitanti, «una lettera che io raccolgo come mia, senza credere di abbassarmi.

Qualcuno in un canto della sala gridò «Bene!» gli altri zittirono; seguì un silenzio profondo.

«Si è pubblicata una mia lettera suscettibile, forse, d’interpretazioni molto gravi, molto atte a togliermi la fiducia di coloro che temono l’introdursi nella Camera di elementi ostili alle nostre istituzioni e alla libertà; tanto che alcuno di voi, alcuni elettori di cui rispetto l’onesto terrore, ripugnavano persino, come ho testè inteso dall’egregio presidente, a udirmi. Ebbene, signori, io vi felicito che abbia prevalso in voi il partito più liberale e più equo, malgrado il senso ignobile che si vuol attribuire ad alcune mie parole. Io respingo, a questo proposito, con disprezzo l’accusa di slealtà che mi viene mossa, la indegna accusa di volermi far giuoco di questo nobile collegio.

«Sì, ho scritto privatamente e oggi ripeto senza esi-