Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
114 | daniele cortis |
Venezia, morto da due mesi. Il giornalista asseriva di averla in ufficio e ne pubblicava alcuni periodi.
«La lettera è un pretesto» disse B. raccogliendo e rintascando, ad una ad una, le sue carte disperse. «La lettera è un pretesto. Non ti vogliono.
«Eh no, per questo» osservò un altro, «se la lettera non fosse sua...
«Ma è sua» sussurrò qualcuno, mentre Cortis, saltati i commenti del giornale, leggeva questi terribili periodi:
«Se per ora non si può far di meglio, transeat; cerchiamo di passare come che sia; ma tu sai che io sono cattolico e che confido in quello sviluppo progressivo della civiltà cristiana in cui confidava il conte di Cavour. Perciò affretto col desiderio il momento in cui si costituirà un partito parlamentare, un elemento di governo con questo ideale. Che alcuni tentativi per muovere la pubblica opinione sieno falliti, oportebat; tu sai meglio di me che questa è stata sempre la preparazione storica di tutte le imprese grandi e difficili. Altri ancora ne cadranno, ma io sono fermamente convinto che a un dato momento questo partito sorgerà per effetto di necessità politiche, e che allora, anzi prima di allora, si troverà l’eroe, come direbbe il tuo Carlyle, per condurlo; dietro al quale eroe, o nelle prime o nelle ultime file, ci sarà pure, se vivo, il tuo
Daniele Cortis.»
«Altro che mia!» esclamò Cortis verso colui che ne aveva espresso il dubbio. «Altro che mia! Perfettamente mia!