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106 | daniele cortis |
Cortis saltò giù dalla soglia del salotto, si cacciò fra i gelsi e il granturco, fuori della vista di sua madre.
Costei strinse nelle pugna i due capi del fazzoletto bianco che aveva in mano e diede due così rabbiose gomitate al vento, che strappò la tela.
«Già in questo maledetto paese» fremè fra i denti «non ci sto di certo.
Detestava Lugano perchè si era innamorata, con i suoi cinquantadue anni, di un giovane medico, e questi, nauseato di tali affetti, non aveva più voluto saperne di visitarla. Si rizzò in piedi e, aperto un armadietto a muro, vi cacciò la mano, tracannò qualche cosa in furia e lo rinchiuse adagio adagio con l’occhio alla porta; poi brontolò fra sè: «Adesso glielo dico», e uscì in cerca di Daniele. Lo incontrò subito.
«Daniele» diss’ella, «abbi pazienza. Ho una grazia, una sola grazia a domandarti.
«Che cosa?
«Un po’ più lontano» sussurrò la signora dopo aver guardato su alle finestre aperte.
Entrarono sotto un pergolato a mancina della casetta. Cortis non pareva niente affatto curioso di sapere che grillo fosse saltato a sua madre, le camminava accanto guardando giù il treno girar via sul largo arco dei colli.
«Quella Villascura, Daniele!» diss’ella. «Quella Villascura!» Si fermò e si coperse il volto con le mani.
«Cosa, quella Villascura?» domandò Daniele, distratto.
«Vien via per amor del cielo!» esclamò sua madre. «Sta a Roma, sta a Udine, sta dove vuoi, ma non là!
«Perchè?
La signora abbassò gli occhi e rispose sottovoce: