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pronto! | 103 |
alzata. Non le parlò più del passato; volle solamente sapere come avesse potuto dirigergli la lettera con tanta sicurezza a Villascura. Ella non nominò alcuno, ma asserì di aver sempre avute informazioni esatte sul conto del suo amatissimo figlio: di averlo sempre seguito col pensiero e col cuore. Gli parlò della contessa Tarquinia e di Villascura. Sapeva che la Villa Cortis era un gran palazzo squallido e aveva pensato tante volte quanto il povero Daniele vi si dovesse trovar male così soletto. Cortis la condusse a parlare del suo stato presente, delle sue necessità; ed ella gli raccontò un’iliade di guai. Ma cos’erano le privazioni, il bisogno, appetto all’angoscia della solitudine? Soffrire, sì, era giusto e anche gradito per chi aveva commesso, come lei, una colpa, una sola colpa: una colpa — se tutto si sapesse! — se tutto si potesse dire! — quasi involontaria; ma soffrire sola, segregata da ogni affetto, da ogni pietà! Non era più possibile; no, no, non era più possibile.
Ella versò a questo punto un fiume di lagrime. Cortis taceva.
«Stanotte... ho fatto... un sogno» disse la signora, lottando con i singhiozzi.
Cortis non fiatò.
«Troppo bello» mormorò l’altra socchiudendo gli occhi e lasciando spenzolar un braccio dalla poltrona.
«Troppo bello.
Scosse lentamente il capo inclinato sulla spalla sinistra e sospirò ancora:
«Troppo bello.
Cortis non desiderava proprio di conoscerlo.
«V’è un genere di miserie» diss’egli «che non deve toccarvi. A questo penserò io.