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100 | daniele cortis |
messo di scrivergli, ma non il coraggio di farlo. Non osando dirgli «sono tua madre», temendo non esser creduta o peggio, gli aveva scritto come un’amica di lei sotto il suo nome d’arte; un nome intemerato; oh sì!
Ella tacque e pianse, Cortis era più scuro che commosso.
«Soccorsi?» diss’egli. «Mai? Da mio padre, voglio dire.
«Mai. Mai niente; questo no.
Cortis aggrottò le sopracciglia. Ella aveva detto «questo no» quasi volesse esprimerne un lamento e non osasse.
«Cosa intendete dire?» esclamò. «Che avrebbe dovuto soccorrervi?
«Oh no, no» rispose la signora fra i singhiozzi.
«Mio padre aveva già fatto molto» riprese Cortis. «Nell’uscire di casa voi avete riavuta la vostra dote. Non è vero?
«Era ben poco» diss’ella.
Una vampa salì al viso di Cortis. Egli vedeva e sentiva sopra di sè lo sguardo di suo padre; non severo, ma vigile; e aveva più che mai presenti tutti i dolori, tutte le offese che il giusto e forte uomo si era proposto di nascondergli.
«Mio padre è stato generoso» diss’egli. «Del resto nel vostro racconto vi hanno cose che non so spiegarmi.
Colei fu presa da convulsioni violente e poi cadde in una spossatezza così profonda che non poteva nè parlare, nè udir parola. Cortis l’assistè, insieme alla Barbara, con austero volto e in silenzio.