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gnore che abitavano da tre o quattro mesi un casino presso Pazzallo. Non le conosceva; aveva conosciuto una signora che si divertiva a dipingere e doveva abitare da quella parte. Era venuta più volte a far colazione al Panorama; ora non veniva più perchè il padrone, non essendone stato pagato che i primi giorni, non ce la voleva. Più di così Cortis non potè saperne. Gli era impossibile aspettar lì e prese la via del monte, risoluto di raccogliere, prima delle otto, altre notizie. Incontrò dei contadini che scendevano alla città con erbaggi e frutta, li interrogò; nessuno gli seppe risponder nulla. Era quasi giunto al cancello rosso quando ne vide uscire una lattivendola. La fermò, si fece dare un bicchier di latte. La donna gli domandò sorridendo se volesse salire il San Salvatore. Cortis bevve e non rispose.

«Udite» diss’egli. «Siete voi che portate il latte, di solito, a quel casino lì?

«Sempre io.

«Dunque conoscete le signore che vi abitano?

«Diamine!

«E come si chiamano?

«Mah! La serva è la signora Barborina, e alla padrona gli dicono un certo nome che io non l’ho potuto tenere a mente.

«E l’altra signora?

«Quale?

«L’altra, l’amica della padrona.

«Caro Lei» disse la donna, meravigliata, «io non la conosco mica.

«Ma se stanno insieme?

«Ah, signor no, signor no; qui di padrone non ce n’è che una.