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prestare in quel processo l’opera sua, in conseguenza del
principio — judex debet abstinere a judicando in caussa propria. —
6.° Nelle confessioni delle inquisite, se non gli mancasse il tempo, troverebbe ampia, e molteplice materia di nullità del processo.
7.° Non comprende come quelle meschine, che pur erano tutte coaccusate dei medesimi delitti, abbian potuto legalmente assumersi in testimonio a vicenda le une contro delle altre, vietando attribuir valore a cosiffatte deposizioni il prescritto del Diritto Romano.
8.° Le leggi non son avare nel conceder a’ giudici facoltà d’incoar esami anco rigorosi: però tal facoltà d’infliggere tormenti non essere del tutto arbitraria, come fu visto nel presente processo, sibben fondata nel prescritto, e consona alla coscienza.
9.° Siccome i giudici operano a vantaggio del Fisco, con tanto maggior sollecitudine voglionsi servare le forme che tutelano gl’inquisiti.
10.° Nel caso presente, in cui il delitto non era evidente, il Giudice mancò alla osservanza delle leggi e degli statuti, usando la procedura consentita unicamente ne’ casi d’evidenza.
11.° E' vulgato principio che a condannare, lorchè si tratta di danno irreparabile, richiedonsi prove più chiare del meriggio.
12.° Deve il giudice scansare la taccia di severo, perchè, siccome la misericordia eleva a Dio, così la severità sprofonda nell’inferno.
Premesse queste considerazioni generali, e venendone ai particolari, il Difensore comincia dall’annotare come tutto questo, per dir così, magico edifizio di portentosa inquisizione, posi sull’unico fondamento delle denunzie della Mercuria contro Menegota e Lucia: che se il Magistrato avesse attribuito alle parole di quella malvagia femmina il