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pagine (per giunta decorate delle più pruriginose creazioni di matite o bulini) darei fine al mio lavoro con frasi artificiose, entro le quali velatamente adagierei, così la fatua compiacenza dell’opera mia, come quell’ invito che i romani istrioni lanciavano agli spettatori in accomiatarli, ed or applaudite!...

Epperò, siccome io mi tengo ad onore che il mio nome non vada scritto nei ruoli di veruna delle summentovate famiglie, nonostante che le scorga maggiorenti nella incomposta repubblica letteraria, il mio lavoro, che pur esso aspira ad una chiusa atta a sempre più amicarmi i lettori la cui anima risponde alla mia, ecco che deliberatamente imprende a domandare tal chiusa ain ordini d’idee che mi sono più sacri, quelli da cui mi provviene la convinzione della osservanza dovuta a Dio, ed alla sua Legge.

...Ma parmi vedere ironico sorriso avvisarmi, che, nella foga del mio fanatismo, già già scambio la cattedra spesso spregiata, lo scanno spesso fischiato dell’uom di lettere, in torreggiante irresponsabil pulpito sacerdotale...

Quel sorriso non m’induce a silenzio; conciossacchè da molti anni contrassi abitudine di reputare che la letteratura, appo gli onesti, sia appunto un sacerdozio.

Ecco, pertanto, la conchiusione del mio scritto, ch’è ad un tempo la risposta a’ sorridenti.

La terribile storia, che vi ho rivelata senza belletti e lenocinii, non avrà saputo, o signori, non chiamarvi qua e là ad un pulpito cruccioso: or fate di fecondarlo! al qual uopo v’invito a considerar tre grandi verità; le due prime dal senno de’ prischi Vati pagani formulate nel principiis obsta con quanto segue, e nel raro antecedentem scelestum, pede licet claudo, pœna deseruit comes, qual l’udiste or ora ripetuto dal buon Ripamonti: la terza verità, poi, è onninamente cristiana, e suona — infinite essere le misericordie del Signore, le quali avanzano ogni aspettazione, e trascendon ogni misura...