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li avessi a restituire: e me gli ebbi appena tra mano, che,
simile a sposo novello, cupido di spendere in libertà colla
sua compagna la luna di miele, corsi ad appiattarmi in
questo eremo: gli è qui, che, solo abitante d’un piccol
quadrato di celle denominato la Casa de’ Morti (perché
vi giaccion tumulati nel sotterraneo i Carmelitani trapassati nel chiostro che covre il colle rimpetto), volgon
omai otto dì ch’io vivo nella esclusiva compagnia della
formidabil Monaca di Monza, de’ suoi complici, de’ suoi
accusatori, de’ suoi giudici. Leggerne di fuga il processo,
per formarmene un’idea complessiva, novamente leggerlo
per apprezzarne i particolari, svolgerlo ad ultimo pagina
per pagina colla penna alla mano copiando, e compendiando,
questa fu la mia fatica dell’ora corsa settimana: mi riposava tratto tratto correndo i circostanti boschi, i quai
presentansi graziosamente svariati da vallette, da scogli,
da gruppi di pini, da castagni colossali e da vaste macchie
di faggi, rese accessibili dai sentieretti de’ carbonai lungo
i rigagnoli che scendono frequenti dalle alture a raccogliersi in fondo ad ombroso burrone; ivi l’ incessante
romore dell’acque correnti si marita al canto d’infiniti uccelletti; tutto assieme che forniva cornice ed accompagnamento squisitamente acconci al mio meditare; sicché,
rientrando nella cella, non solo mi trovava ristorato dall’aspro mio tirocinio d’interprete, di copista, ma ritemprato
a meglio sentire ed esprimere i paurosi drammi che mi si
svolgevan davanti.
È pur curioso questo fascio di carte! Frammezzo gl’interrogatorii per man di notaj che n’occupan tre quarti (il