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142 | viii. dagli arabi agli europei |
l’addetto alla copiatura, o dallo stile “ufficiale” del tempo. In effetti, presso gli Arabi occidentali (dalla Tunisia alla Spagna) la grafia delle cifre assume una forma molto diversa. Tali cifre sono acquisite con ulteriori modifiche dalla cristianità, con la mediazione dei centri culturali spagnoli. Il più antico manoscritto europeo che presenta le cifre indo-arabe è il Codex Vigilanus (datato 976), conservato nella biblioteca dell’Escorial.
Si ritiene che le cifre arabe si siano diffuse in Europa ancor prima che la pratica del calcolo scritto mutuata dagli Arabi fosse di pubblico dominio. Se ne attribuisce il merito a Gerberto d’Aurillac. Questo monaco, recatosi in Spagna nel 967-970, apprende i metodi di calcolo degli Arabi. Dirige poi la scuola di Reims e l’abbazia di Bobbio; diviene arcivescovo di Reims e di Ravenna e, infine, è papa dal 999 al 1003 col nome di Silvestro II. Gerberto rinnova il metodo del calcolo sull’abaco. I Romani usano mettere tanti sassolini quante sono le unità da rappresentare in ciascuna colonna. Gerberto introduce l’uso di pedine (apices) che portano impressa una cifra: invece di 3 sassolini si usa una sola pedina con la scritta “3”. Le cifre tracciate sulle pedine assomigliano alle cifre ghobar (o gubar) e portano nomi strani, dei quali neanche i maestri d’abaco conoscono l’origine:
1 Igin | 4 Arbas | 7 Zenis |
2 Andras | 5 Quimas | 8 Temenias |
3 Ormis | 6 Calctis | 9 Celentis |
Esiste pure un decimo segno, il Sipos, che indica lo zero ed è simile a una A inscritta in un cerchio: ai fini del calcolo sull’abaco è del tutto inutile, perché lo zero è indicato dalla colonna vuota. Una volta eseguiti i calcoli sull’abaco, il risultato viene scritto in numeri romani.
La riforma operata da Gerberto per un verso è positiva, perché introduce fra i dotti cristiani le cifre