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consueta nel V sec. d.C., dimostra il consolidamento del principio di posizione. Non essendo ancora usato lo zero, l’eventuale mancanza di unità in qualche ordine probabilmente costringe a ripiegare sull’altro procedimento.


9. Il posto vuoto

Tutti gli studiosi sono concordi nel ritenere che il concetto di zero abbia origine dal calcolo sull’abaco. In origine l’abaco è una tavoletta cosparsa di polvere finissima, o di cera, oppure niente di tutto questo: si può infatti anche operare direttamente per terra. Gli Arabi occidentali danno alle cifre un nome significativo: haruf al gubar, cioè “cifre da polvere”. La superficie dell’abaco viene divisa in colonne e ad ognuna si attribuisce un valore secondo le potenze crescenti di 10, da destra verso sinistra. Per rappresentare un numero si possono usare i sassolini, oppure tracciare sulla sabbia le cifre occorrenti, collocandole nella colonna delle unità, delle decine, ecc., secondo il loro valore di posizione. Se manca la cifra di un ordine, la colonna resta vuota. Questa situazione viene designata dagli Indiani con il termine sunya, che vuol dire “vuoto”. Si usano anche altri termini equivalenti, ma più poetici: kha (cielo), gagana (spazio), ambara (atmosfera), ecc. Quando dall’abaco si passa a scrivere il numero su “carta”, lo spazio vuoto può dare adito a confusione. Pertanto, ogni spazio vuoto viene indicato con un puntino (bindu), che gli Arabi orientali usano ancora per lo zero. In alternativa, si riproduce sul foglio la griglia dell’abaco, inserendo le cifre al posto giusto e lasciando vuote le colonne che sono tali anche sull’abaco.

Le testimonianze più antiche sull’uso dello zero e sul principio di posizione risalgono alla fine del VII secolo e sono contenute in iscrizioni rinvenute in va-