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X | attenzione! e fu il numero |
In breve, i nostri organi percettivi ottici e tattili, come quelli di moltissimi animali, giungono a costituire il percepito scartando l’aria. Nella vista, perché trasparente, e l’occhio si ferma sull’opaco, e nel tatto perché molle e fendibile, e la mano si ferma sul duro e resistente. Poiché l’aria scartata è sempre la stessa, sarà eguale per dimensioni e forma anche ciò che resta, cioè l’oggetto percepito. Soltanto, esso è lontano dal corpo nella vista, ed è a contatto nel tatto. Certo, dev’essere stato difficile non credere che la cosa lontana, trovata eguale a contatto, non preesistesse di per sé siffatta alla vista, e si dovesse portare a noi per esserci presente, cioè per divenire un contenuto mentale. Tanto più che le cose osservative fisiche di solito hanno una persistenza più lunga che il mezzo secondo richiesto da una percezione. Tanto più che gli organi e funzionamenti del sistema nervoso sia centrale che periferico non si vedono ad occhio nudo e, non essendo accompagnati da fatica e sforzi ed essendo resi rapidi dall’uso frequentissimo, sfuggono all’attenzione.
Sì, la trappola più tragica e comica che il pensiero abbia potuto tendersi.
La prova che le cose stiano così si ha osservando che cosa accada quando la situazione sia eccezionalmente mutata: quando la trasparenza sia per esempio quella del vetro, dura, e l’opacità sia per esempio quella della nebbia, nuvola, fumo, molli. Sulla lastra si va a sbattere; e la mosca insiste per ore e ore sul vetro della finestra cercando di attraversarla; così come abbiamo l’impressione di urtare contro la “parete”, il “muro” di nebbia, o dall’aereo di poter camminare sulle nuvole sottostanti.
L’inganno si rinsaldò per l’uso incauto ed irriducibilmente metaforico di una parola, parola fra l’altro insopprimibile nel vivere corrente, in quanto indica che una cosa si può fare in quanto è già stata fatta e se ne ha il ricordo: la parola “conoscere”. Si conosce Parigi dove si è abitato, il francese che si è studiato, il