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212 | giulio verne |
giatori sarebbero dunque in grado di osservare, durante la loro corsa, la Terra che abbandonavano, la Luna a cui si avvicinavano, e gli spazî del cielo cosparsi di stelle. Però queste lenti erano protette contro gli urti della partenza da corazze solidamente incastrate, che facilmente potevansi lasciar cadere al di fuori svitando interni catenacci. In tal guisa l’aria contenuta nel proiettile non isfuggiva e le osservazioni diventavano possibili.
Tutti questi congegni, con accortezza ammirabile ordinati, funzionavano colla maggior facilità; nè gli ingegneri eransi addimostrati meno intelligenti nell’arredare il wagon-proiettile.
Alcuni vasi assicurati solidamente erano destinati a contener l’acqua ed i viveri necessari ai tre coraggiosi; questi potevano anche procurarsi fuoco e luce col mezzo del gas contenuto in un recipiente speciale sotto una pressione di parecchie atmosfere. Bastava girare un robinetto, e per sei giorni quel gas doveva illuminare e riscaldare il comodo veicolo. Come si vede, nulla mancava delle cose essenziali alla vita, del pari che agli agi. Inoltre, in virtù degli istinti di Michele Ardan, l’aggradevole venne ad unirsi all’utile sotto forma di oggetti d’arte: del suo proiettile avrebbe fatto un vero studio d’artista, se lo spazio non gli fosse mancato. Del resto, sarebbe in inganno chi supponesse che tre persone dovessero trovarsi a disagio in quella torre di metallo. Essa aveva una superficie di cinquantaquattro piedi quadrati circa, su dieci piedi d’altezza, la quale proporzione permetteva a’ suoi ospiti una certa libertà