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de’ suoi anni, che durano dodici de’ nostri ciascuno. Inoltre è per me evidente che sotto questi auspicî, e in tali condizioni maravigliose d’esistenza, gli abitanti di questo mondo fortunato sono esseri superiori; che i dotti vi sono più dotti, che gli artisti vi sono più artisti, che i cattivi vi sono meno cattivi e che i buoni vi sono migliori. Ahimè! che cosa manca alla nostra sferoide per avere siffatta perfezione? Poca cosa! Un asse di rotazione inclinato sul piano dell’orbita.

— Ebbene, esclamò una voce impetuosa, uniamo i nostri sforzi, inventiamo macchine, raddrizziamo l’asse della Terra!

Una salva d’applausi scoppiò a questa proposta, il cui autore non era e non poteva essere altri che J. T. Maston. È probabile che il focoso segretario fosse stato spinto da’ suoi istinti d’ingegnere ad arrischiare sì ardita proposizione. Ma, bisogna dirlo, — giacchè è la verità, — molti l’appoggiarono colle loro grida, e senza dubbio, se avessero avuto il piano d’appoggio reclamato da Archimede, gli Americani avrebbero costruito una leva capace di sollevare il mondo e di raddrizzarne l’asse. Ma il punto d’appoggio era precisamente ciò che mancava a’ quei temerari meccanici.

Pure, quest’idea «eminentemente pratica» ebbe un successo maraviglioso; la discussione fu sospesa per un buon quarto d’ora, e per molto tempo si parlò negli Stati Uniti d’America della proposta formulata così energicamente dal segretario perpetuo del Gun-Club.