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noni, fornirono gli accessorii indispensabili per la costruzione di un’immensa tenda.

In breve un vastissimo cielo di tela si distese sulla prateria calcinata e la riparà dai calori del giorno. Quivi trecentomila persone trovarono posto, e per più di tre ore sfidarono una temperatura soffocante, aspettando l’arrivo del Francese. Di questa calca di spettatori, un primo terzo poteva vedere ed udire, un secondo terzo vedeva male e non udiva, quanto all’ultimo, non vedeva nulla e non udiva meglio. Ciò non ostante non fu il meno sollecito a stemperarsi in applausi.

Alle tre, Michele Ardan fece la sua comparsa, accompagnato dai principali membri del Gun-Club. Egli dava il braccio destro al presidente Barbicane, ed il sinistro a J. T. Maston, più raggiante del sole in pieno meriggio.

Ardan salì sur un palco, dall’alto del quale i suoi sguardi estendevansi sopra un oceano di cappelli a cilindro. Non pareva niente affatto impacciato, non porgeva con affettazione; sembrava fosse in casa sua, allegro, famigliare, amabile. Agli evviva che lo accolsero, rispose con un saluto grazioso; poi colla mano, reclamando il silenzio, prese la parola in inglese, e si espresse molto correttamente in questi termini:

« Signori, diss’egli, sebbene faccia caldissimo, io sto per abusare del vostro tempo per darvi alcune spiegazioni su certi progetti che a quanto pare vi stanno a cuore. Io non sono nè un oratore nè un dotto, nè contava di parlare in pubblico; ma l’amico Barbicane mi ha detto che vi farebbe