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16 | giulio verne |
d’intorno senza distrarlo; dessi interrogavansi, forviavansi nel campo delle supposizioni, esaminavano il loro presidente e cercavano, ma invano, di trovare l’incognita della sua imperturbabile fisionomia.
Quando scoccarono le otto al fulminante orologio della sala maggiore, Barbicane, come se fosse stato spinto da una molla, rizzossi tosto; si stabilì un silenzio generale, e l’oratore con accento enfatico prese la parola in questi termini:
«Bravi colleghi, da troppo tempo già una pace infeconda è venuta ad immergere i membri del Gun-Club in una disperante atonia. Dopo un periodo di alcuni anni, sì ricchi di incidenti, fu d’uopo abbandonare i nostri lavori ed arrestarci di punto in bianco sulla via del progresso. Io non temo di proclamarlo ad alta voce, qualsiasi la guerra che ci rimetterà le armi in pugno sarà bene accolta...
— Sì, la guerra! esclamò l’impetuoso J. T. Maston.
— Ascoltate! ascoltate! si udì ripetere da ogni parte.
— Ma la guerra, disse Barbicane, la guerra è impossibile nelle circostanze attuali, e, checchè possa sperarne il mio onorevole interruttore, lunghi anni passeranno ancora prima che i nostri cannoni tuonino sovra il campo di battaglia. Bisogna dunque rassegnarvisi, e cercare in altro ordine di idee un alimento all’attività che ci divora!»
L’adunanza sentì che il presidente stava per toccare il punto delicato. L’attenzione raddoppiò.