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156 | giulio verne |
maggior lena di Agatocle, e, disposto a farsi rompere le reni ad ogni ora, costantemente finiva col ricadere in piedi, al pari di que’ fantoccini di midollo di sughero, trastullo de’ ragazzi.
In due parole, il suo motto era: Quand’anche! e l’amore per l’impossibile, la sua ruling passion1, secondo la bella espressione di Pope.
Però quest’uomo, d’incomparabile coraggio, aveva pure i difetti delle sue qualità! Chi non risica non rosica, si suol dire. Ardan arrischiò molte volte, ma non avvantaggiò di nulla mai. Era un divoratore di danaro, il vaglio delle Danaidi. Del resto, perchè uomo disinteressato, prestava orecchio tanto al cuore quanto al cervello; servizievole, cavalleresco, non avrebbe sottoscritto la sentenza di morte del suo più crudele nemico, e si sarebbe venduto per riscattare un negro.
In Francia, in Europa, questo personaggio brillante e rumoroso era da tutti conosciuto. Non faceva egli forse parlare di lui le cento voci della Fama, diventate rauche al suo servizio? Non viveva egli in una casa di vetro, pigliando l’universo intero per confidente de’ suoi più intimi segreti? Eppure, possedeva un’ammirabile accolta di nemici fra coloro che egli aveva più o meno toccati nel vivo, feriti, rovesciati senza pietà, lavorando di gomiti per aprirsi un varco nella folla.
Generalmente però era amato, lo si trattava da beniamino. Secondo l’espressione popolare, reputavasi uomo da pigliare o da lasciare, e lo si pigliava. Ciascuno prendeva parte coll’animo alle sue
- ↑ La sua passione predominante.