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dalla terra alla luna 153

Alle quattro, la nave inglese entrava nella rada d’Espiritu-Santo. Alle cinque, superava i passi della rada Hillisboro a tutto vapore. Alle sei, calava le ancore nel porto di Tampa.

L’àncora non aveva ancor tocco il fondo sabbioso, che cinquecento barche circondavano l’Atlanta, e lo steamer era preso d’assalto. Barbicane, pel primo, uscì fuori dai bastingaggi, e con una voce di cui voleva inutilmente nascondere la commozione, esclamò:

«Michele Ardan!»

- Presente! rispose un uomo salito in piedi sopra il cassaretto.

Barbicane, colle braccia incrociate, l’occhio interrogatore, la bocca muta, guardò fisso il passaggiero dell’Atlanta.

Era un uomo di quarantadue anni, grande, ma già un po’ curvo, come le cariatidi che portano de’ balconi sulle spalle. La sua testa era grossa, vera testa da leone, squassava ad ogni momento una capellatura fulva che formavagli una vera criniera.

Una faccia corta, larga alle tempia, resa più avvenente da due mustacchi irti come i baffi d’un gatto e da ciuffetti di peli giallognoli sparsi per le guance, occhi rotondi un po’ stralunati, uno sguardo da miope, completavano quella fisonomia, al sommo grado felina. Ma il disegno del naso era arditissimo, la bocca regolare, la fronte alta, intelligente e solcata come un campo che mai non istà in riposo. Finalmente un busto assai sviluppato e ben collocato su due lunghe gambe, braccia