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132 | giulio verne |
e largo nove, che riempiva esattamente lo spazio riserbato all’anima della Columbiad. Questo cilindro fu composto di terra argillosa e di sabbia, con aggiunte di fieno e paglia. L’intervallo lasciato fra la forma e la muratura doveva essere colmato dal metallo in fusione, che formerebbe così delle pareti di sei piedi di grossezza.
Questo cilindro, per mantenersi in equilibrio, dovette essere consolidato da armature di ferro ed assoggettato di distanza in distanza col mezzo di traverse assicurate nel rivestimento di pietra; dopo la fusione, le traverse dovevano trovarsi perdute nelle masse del metallo, ciò che non offriva alcun inconveniente.
Questa operazione terminò l’otto di luglio, e la fusione fu stabilita per l’indomani.
- Sarà una bella cerimonia la festa della fusione, disse J. T. Maston al suo amico Barbicane.
- Senza dubbio, rispose Barbicane, ma non sarà festa pubblica!
- Come! voi non aprirete le porte del recinto a tutti indifferentemente?
- Neanche per sogno, Maston! la fusione della Columbiad è un’operazione delicata, per non dire pericolosa; preferisco che si effettui a porte chiuse. Se si vuole, si faccia festa alla partenza del proiettile, ma fino a quel momento, no.
Il presidente non aveva torto; l’operazione poteva offrire pericoli impreveduti, che una grande affluenza di spettatori avrebbe impedito di scongiurare. Bisogna conservare la libertà dei movimenti. Nessuno quindi fu ammesso nel recinto, ad