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126 | giulio verne |
lavorato dalla circonferenza al centro, trovavansi racchiusi in un pozzo largo ventun piedi.
Allorchè questo lavoro fu terminato, i minatori ripigliarono il piccone e la zappa ed intaccarono la roccia sotto la stessa ruota, avendo cura di sostenerla di mano in mano sopra una specie di cavalletti solidissimi. Ogniqualvolta il buco erasi accresciuto di due piedi di profondità, ritiravansi successivamente i cavalletti; la ruota si abbassava a poco a poco, e con esso il massiccio circolare di muratura, al cui strato superiore lavoravano senza posa i muratori, lasciando degli sfogatoi che dovevano permettere al gaz di fuggirsene durante la fusione.
Siffatto genere di lavoro esigeva da parte degli operai abilità grandissima ed attenzione continua: alcuni scavando sotto la ruota furono gravemente feriti dalle schegge di pietra, ed anche mortalmente; ma l’ardore non si rallentò un solo minuto nè di giorno nè di notte; di giorno, ai raggi di un sole che versava, alcuni mesi più tardi, novantanove gradi1 di calore sopra quelle pianure calcinate, e la notte, sotto i bianchi fasci di luce elettrica, lo strepito dei picconi sopra la roccia, lo scoppio delle mine, lo stridío delle macchine, i turbini di fumo sparsi nell’aria, tracciarono intorno a Stone’s-Hille una cerchia di spavento, che i greggi di bisonti e le orde di Seminoli più non osavano di varcare.
Nulladimeno i lavori progredivano regolarmente,
- ↑ Quaranta gradi centigradi.