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xxii prefazione.


della Gioconda non è un’opera meno potente della scoperta di quelle leggi prospettiche e ottiche, che ci servono a vederlo. Quando Leonardo, «a molti cittadini ingegnosi, che allora governavano Firenze,» mostrava voler alzare il battistero di San Giovanni o rizzare il corso deH’Arno, «con sì forti ragioni lo persuadeva, che pareva possibile, quantunque ciascuno, poi che e’ si era partito, conoscesse per sè medesimo l’impossibilità di cotanta impresa.1» Ma quale mai di questi «ingegnosi cittadini», condannando il proposito pratico, si sarà fatto a domandare al Vinci quali fossero i principi meccanici o idraulici che lo inducevano a ritenerlo fattibile? S’egli non ha sollevato il San Giovanni, nè incanalato l’Arno, questo non monta: la sua opera vera sta nel Trattato del moto locale e delle ^percussioni e pesi e delle forze tutte, dove precorre, e in qualche punto avanza, i Dialoghi delle nuove scienze del

  1. Le Vite, vol. IV, pag. 50-51, 21.