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178 | noterelle |
dov’ebbe il moncherino spezzato un’altra volta da una scheggia francese, il povero mio Maestri da Spotorno, semplice e prode come i popolani delle nostre marine liguri, piangeva. E piangevo anch’io. Un momento che mi si strinse più il core, mi pregai con certa voluttà acre, non mai provata, mi pregai d’essere chiuso in quel feretro abbracciato col morto. Oh! star nella bara con tanto ancora di vita da sentirsi portato lentamente, indovinando le vie, le finestre sotto cui si passa, le faccie di quei che guardano e accompagnano fin dove possono con gli occhi e poi col pensiero! La folla fa ala... parlano a voce bassa... che diranno? cade qualcosa... saranno fiori.
Ma la marcia funebre prorompe alta nell’aria, e vien sin fra i quattro assi, con certi acuti stridori di trombe, con certi gemiti di flauti che si mutano in lacrime. E si scende, si scende nelle tenebre, nella terra; fra il pianto degli uomini reso dall’arte divina e il pianto