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d’uno dei mille. | 163 |
tato d’umore. Discorreva con Rovighi dicendo che sperava di farla finita l’indomani; che al Palazzo Reale i regi non avevano più munizioni da bocca, che non potevano più comunicare nè col castello nè colla marina.
Mi rallegrai fino in fondo all’anima, e stanco morto mi rannicchiai là vicino, col picchetto di guardia.
Ieri, finalmente, verso mezzodì, ricevemmo a Porta Montalto l’ordine di cessare il fuoco. Subito corsi al Palazzo Pretorio, dove trovai che l’armistizio era concluso per ventiquattr’ore, tanto che si potessero seppellire i morti. Era bell’e sottoscritto il foglio, quando capitò un prete, che mi parve quello venuto sin dal mattino del giorno 27 in piazza Bologni. Gridava al tradimento, annunziando che i Bavaresi entravano da Porta Termini. «Che Bavaresi?» gridavamo noi. «Quelli di Bosco, che tornano da Corleone!»
Ci rovesciammo a quella volta quanti eravamo là attorno, e arrivammo a Porta Termini