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Vi par che un onest’uomo,

Un nobil cavalier, com’io mi vanto.
Possa soffrir che quel visetto d’oro,
Quel viso inzuccherato
Da un bifolcaccio vil sia strapazzato?
Zer. Ma, signore, io gli diedi
Parola di sposarlo.
Gio.   Tal parola
Non vale un zero, Voi non siete fatta
Per esser paesana; un’altra sorte
Vi procuran quegli occhi bricconcelli,
Que’labbretti sì belli,
Quelle ditucce candide e odorose:
Parmi toccar giuncata e fiutar rose.
Zer. Ah!... non vorrei...
Glo.   Che non vorreste?
Zer.   Alfine
Ingannata restar, lo so che rado
Colle donne voi altri cavalieri
Siete onesti e sinceri.
Gio.   È un’impostura
Della gente plebea. La nobiltà
Ha dipinta negli occhi l’onestà.
Orsù, non perdiam tempo; in questo istante
Io vi voglio sposar.
Zer.   Voi!
Gio.   Certo, io.
Quel casinetto è mio; soli saremo,
E là, gioiello mio, ci sposeremo.

Là ci darem la mano.
  Là mi dirai di sì,
  Vedi non è lontano:
  Partiam, ben mio, di qui.
Zer. (Vorrei, e non vorrei...
  Mi trema un poco il cor..
  felice, è ver, sarei;
  Ma può burlarmi ancor).
Gio. Vieni, mio bel diletto!
Zar.   (Mi fa pietà Masetto;.
Gio.   Io cangerò tua sorte.
Zer.   Presto... non son più forte.
a 2 Andiamo, andiam mio bene
  A ristorar le pene
  D’un innocente amor!
(s’incamminano verso il casino)

scena x.

Donna Elvira e detti.

Elv. Fermati, scellerato! il ciel mi fece

Udir le tue perfidie. Io sono a tempo
Di salvar questa misera innocente
Dal tuo barbaro artiglio.
Zer. Meschina! cosa sento!
Gio.   (Amor, consiglia).
Idol mio, non vedete (piano a D. Elvira)
Ch’io voglio divertirmi?
Elv.   Divertirti,
È vero? divertirti... io so, crudele,