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d’un personaggio bennato, cesse con garbatezza alle mie insistenti preghiere, accettando l’offerta mia. Rimase poi meco pel poco tempo che potè fermarsi in questa cittá, e la sua dotta e vivace conversazione non fu solamente un balsamo consolatorio per tutti noi, ma ci cagionò novelle, però dolci, lagrime al momento di sua partenza. Né il tempo o la lontananza, non che la leggerezza di tale che mi sarebbe grave nominare, servirono a diminuire e ancora meno ad estinguere la sua stima per me, la sua sincera benevolenza e il continuo suo desiderio di piacermi, siccome e per soavissime lettere e per pronti servigi e per cari doni m’ha per piú anni mostrato e tuttora mi mostra. Chi conosce la tempera del mio core capirá agevolmente com’io, avvezzo purtroppo a’morsi dell’ingratitudine e dell’invidia, debba esser caldo di riconoscenza e d’affetto per pruove ed uffizi d’ una si rara amicizia. Tra questi uffizi nulladimeno uno ve n’ha tanto segnalato, che contentar non mi posso d’accennare soltanto, ma co’ piú vivi sentimenti di gioia e di gratitudine mi piace per minuto narrare. Io non ho mai creduto (e mi sia Dio testimonio di tanto) di meritar pe’ miei talenti, e molto meno per alcuna cosa scritta da me, un posto distinto tra i geni brillanti del mio paese; e tutte le volte che il mio tracotante amor proprio pareva disposto a mormorare ed a risentirsi di non veder mai su’ giornali europei il nome di Lorenzo Da Ponte tra gli scrittori del secolo, io strascinavalo issofatto al mio magazzino di libri, gli recitava or una scena d’Alfieri, di Manzoni, di Niccolini, or quindici o venti versi del Giorno del gran Parini, dell ’Ossian di Cesarotti, de’ Sepolcri di Foscolo, della Bassvilliana di Monti o delle canzoni di Pindemonte, e quel temerariaccio si vergognava, e, almen per sei mesi, metteva, come si dice, le pive nel sacco. D’una cosa nulladimeno mi sono lunga stagione maravigliato. — Non v’ha — diceva io — gazzettiere, giornalista o scrittore di novitá, che non empia spessissimo le sue carte di cianciafruscole. «Il conte tale — disse un di quelli — arrivò ieri da Londra e portò sei cavalli seco delle razze del re». «Il tal fabbro — t’informa un altro — inventò una chiave che apre tutte