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in Filadelfia e in altre parti di Pensilvania, uno sciame di fuorusciti era capitato a New-York, che, privi di mestieri, di mezzi e, per disgrazia lor, di talenti, cangiarono i fucili e le baionette in dizionari e grammatiche e si misero a insegnar le lingue. Si sa che la fame è «monstrum horrendum, biforme, ingens», che fa tutto dire e tutto fare al povero affamato. Tutti quelli perciò che pretesero insegnar l’italiano, vedendo sé e me nello spècchio dell’amor proprio, trovarono molto strano ch’io avessi un gran numero di scolari, mentr’essi n’aveano pochissimi e spesso nessuno. Mi divennero quindi nemici acerrimi, e tutte le strade cercarono di farmi del male. Le dicerie di costoro per qualche tempo mi diedero noia : vedendo in breve però che non aveano denti da mordere, non feci piú conto de’ lor latrati, di quello che faccia un rapido cocchio, che non rallenta il suo corso perché nella polve e nel fango gli corran dietro i cani abbaiando. I lor latrati frattanto non interrompano il filo della mia storia. Torniamo al mese di luglio dell’anno 1820, epoca nella quale il mio figlio maggiore dar saggi dovea in un pubblico esperimento de’ progressi fatti da lui nella collegiale sessione di dieci mesi. I suoi rari talenti, accompagnati da una eccellente memoria e da un impareggiabile amor per lo studio, non mi lasciavan loco da dubitare ch’ei non dovesse uscire con molta gloria da quel cimento. Pieno di tale speranza, entrai una mattina nella sua camera per animarlo. Stava il giovinetto sedendo vicino all’uscio e immerso pareva in una profonda malinconia. Si rizzò quando entrai e presentommi senza parlare un foglio piegato. Sbigottito a tal vista, dispiego quel foglio con molta sollecitudine, e leggo queste parole: Mio amatissimo padre, da che siam ritornati a New-York, come dovete aver veduto, io non ho perduto vanamente il mio tempo. Studiai senza intermissione di e notte, e credo aver profittato quant’ogni altro discente in tutto quello che studiai nel collegio, nel quale vi chiesi io stesso di collocarmi. Preveggo però che tutti i miei sforzi saranno vani e ch’io non arriverò mai a quel grado di onore, che il piú forte stimolo è sempre per eccitare allo studio la gioventú. Permettetemi di tornare col signor